Ecco alcune proposte per approfondire tematiche che riguardano la crescita dei ragazzi e delle ragazze nei confronti della vita e della fede. Un percorso che si arricchirà di volta in volta

1. Lezione di Sogni

Un film di Sebastian Grobler. Con Daniel Brühl, Burghart Klaußner, Theo Trebs, Josef Ostendorf, Tomas Spencer. Titolo originale Sebastian Grobler. Sportivo, durata 105 min. – Germania 2011.

Questo film del 2011 ci racconta una storia, liberamente ispirata a fatti veri, di un insegnante di inglese che prende una posizione in una rigorosa scuola tedesca nel 1874. Il poco ortodosso Koch cattura l’immaginazione suoi allievi insegnando loro lo strano gioco inglese del “calcio”.

Oltra a raccontarci un mondo in cambiamento con tutte le paure, ci mostra che la tenacia e il credere in profondi ideali quali la giustizia, la solidarietà, la condivisione, può portare a dei cambiamenti nella vita delle persone a superare i pregiudizi e aprirsi al nuovo.

Nel contesto catechistico questo film ci fa riflettere sulla ricchezza che ogni persona possiede, al di là della condizione sociale, e che solo con l’aiuto di altri è possibile sviluppare i propri talenti. Educare vuol dire aiutare a diventare se stessi e non quello che i genitori sognano per i loro figli.

Acquisire fiducia in se stessi e sviluppare le proprie potenzialità fa parte del progetto di Dio per ogni persona, ecco perché ci mette accanto (nel nostro percorso di vita) persone in famiglia e fuori che contribuiscono a questo. Imparare a riconoscerle e ad essere grati è importante per scoprire che anche noi possiamo esserlo per altri.

Questo film, pur non parlando di religione, ci aiuta a capire che crescere nella fede in Gesù vuol dire crescere nella nostra umanità. Tutto ciò che è umano è cristiano. Ci aiuta a sviluppare l’attenzione verso gli altri i meno fortunati di noi, a superare la tentazione del bullismo o della discriminazione, ad avere la ente aperta a lasciarci spiazzare. Quante volte Gesù ha spiazzato i suoi discepoli e la gente con i suoi genti e la sua predicazione.

Aiutiamo ai ragazzi dopo la visione del film a scoprire questo. Ricevere la cresima (diventare adulti nella fede) vuol dire scegliere Gesù e seguirne lo stile di vita. Ricevere l’eucarestia vuol dire accettare Gesù nella nostra vita, che sia il nostro amico, il nostro aiuto, colui che ci fa scoprire quanto siamo amati da Dio, quanto siamo importanti per lui, e quello che possiamo diventare.

Avvertenza: il film è adatto ai ragazzi/e dalla 5° in sù. Valutate voi col vostro buon senso.

Buona Visione e buona discussione.

2. Wonder

Un film per capire e accettare la diversità che (anche se non la riconosciamo) è presente in ciascuno di noi e ci rende speciali.

Un film di Stephen Chbosky. Con Julia Roberts, Jacob Tremblay, Owen Wilson, Mandy Patinkin, Titolo originale: Wonder. Genere Drammatico, – USA, 2017, durata 113 minuti.

Reperibile su Raiplay, ma non so per quanto tempo, a questo link:

https://www.raiplay.it/video/2020/01/wonder-74648ace-a5bb-40c7-abab-21cb12c51e86.html?q=wonder

Trama. Auggie Pullman ha dieci anni, gioca alla playstation e adora Halloween. Perché è l’unico giorno dell’anno in cui si sente normale. Affetto dalla nascita da una grave anomalia cranio-facciale, Auggie ha subito ventisette interventi e nasconde il suo segreto sotto un casco da cosmonauta. Educato dalla madre e protetto dalla sua famiglia, Auggie non è mai andato a scuola per evitare un confronto troppo doloroso con gli altri. Ma è tempo per lui di affrontare il mondo e gli sguardi sconcertati o sorpresi di allievi e professori. Gli inizi non sono facili, inutile mentirsi e Auggie fa i conti con la cattiveria dei compagni. Arrabbiato e infelice, il ragazzino fatica a integrarsi fino a quando un’amicizia si profila all’orizzonte. Un amore altro rispetto a quello materno. Tra bulli odiosi e amici veri, Auggie trova il suo posto e si merita un’ovazione.

Wonder nasce come film per bambini ma è davvero un film per tutti. Una favola gentile sulla differenza. Una differenza che non dobbiamo negare ma piuttosto abbracciare.

Analisi. Un percorso emozionante e galvanizzante ma anche duro e sofferto, che coinvolge due mondi spesso conflittuali e irriducibili: quello dei bambini, eroi anomali caratterizzati da un surplus di affettività, fantasia e creatività e quello degli adulti che hanno conservato (almeno in questa occasione) un rapporto privilegiato con l’infanzia. Un film per i bambini, che devono imparare a misurarsi con la differenza, per i genitori, che non sanno sempre come salvaguardare i propri figli dal mondo e per tutti quelli che soffrono o hanno sofferto lo sguardo degli altri in quell’età ingrata in cui ti presenti agli altri senza protezione. Piccolo galateo comportamentale davanti alla diversità, Wonder nasce dal rammarico di una madre. R. J. Palacio, pseudonimo di Raquel Jaramillo, scrive il suo primo libro per rielaborare la sua mancanza, la fuga davanti a una bambina ‘diversa’ incontrata al parco.

Delusa dalla sua reazione, prova a capire sulle pagine quello che avrebbe dovuto fare. In luogo della paura, per cominciare sarebbero bastate la considerazione e la gentilezza. Ma qualche volta quei ‘riflessi’, quelle attitudini dell’anima, richiedono tempo e lavoro. Di quell’esercizio della virtù dice (bene) il romanzo della Palacio e il film di Stephen Chbosky, combinando gravità e tenerezza, lacrime e larghi sorrisi. Racconto di formazione sensibile e franco, che non fa sconti sulla violenza meschina che il protagonista subisce nel corso dell’anno scolastico, Wonder non scade mai nella compiacenza e nell’affettazione, offrendo diversi punti di vista sullo stesso soggetto. La narrazione polifonica elude la trappola del pathos e l’accanimento sul personaggio principale, donando respiro al film che sovente flirta col meraviglioso. Stabilendo per esempio che in un certo mondo, quello infantile, si può vivere in gravità zero o avere Chewbecca per amico. Chbosky asseconda la fantasia infantile introducendo la trasgressione e suscitando ammirazione. Non è mai un altro mondo quello di cui parla il regista, è il nostro e funziona come siamo abituati a vederlo funzionare ma di tanto in tanto deraglia, come un trenino per soccorrere un bambino e aiutarlo a superare la propria singolarità. Il miracolo di Wonder è la disponibilità all’accoglienza che può offrire solo chi ha avvertito su di sé il peso della solitudine.

Auggie, al centro del quadro e di una famiglia amorevole, traccia un sentiero per aiutare gli altri a raggiungerlo e a trovare una comunicazione e una comunità, quella raccolta nell’epilogo dentro l’auditorium della scuola. Disponile all’incontro, il cinema sentimentale di Stephen Chbosky pratica la gentilezza e accoglie la difficoltà che tutti gli adolescenti incontrano di fronte allo sguardo degli altri. Con uno stile semplice e alla portata dei ragazzi, Wonder svolge la storia eroica di un destino poco ordinario, la storia di un bambino differente che desidera soltanto essere considerato per quello che è: un ragazzino di dieci anni come gli altri. Un fanciullo che ci interroga sulla nostra relazione con gli altri, sulla nostra maniera di guardare gli altri.
Feel-good movie di tolleranza e umanità che non risparmia la crudeltà e gli eccessi pedagogici, Wonder osserva l’eroismo del cuore e dispone di un cast di riilevo: la madre in emergenza di Julia Roberts, che è abbagliante e vulnerabile fino alla vertigine, il padre intenso di Owen Wilson, che allaccia nello sguardo azzurro comicità e grazia, il figlio prodigioso di Jacob Tremblay, che trova ‘senza casco’ le stelle verso cui fare rotta.

Marzia Gandolfi su Mymovies.it.

3. L’Ultima Estate

Un film di Pete Jones (II). Con Adi Stein, Mike Weinberg, Peggy Roeder, Eddie Kaye Thomas, Brian Dennehy Titolo originale Stolen Summer. Sentimentale, Ratings: Kids, durata 94 min. – USA 2002.

Un piccolo film ricco di verve che fa riflettere, attraverso gli occhi di un bambino, su ciò che conta nella vita.

Trama. Chicago, 1976. Pete O’Malley, figlio undicenne di una famiglia di origini irlandesi dal fervente cattolicesimo, viene costantemente rimproverato a scuola dalla suora insegnante per la mancanza di fede; decide così di trascorrere l’estate intraprendendo la missione di convertire al cristianesimo Danny, figlio del rabbino capo della sinagoga del quartiere, per permettergli di andare in Paradiso. Nonostante le proibizioni e le incomprensioni del padre, Pete riuscirà nell’intento, coinvolgendo Danny in un gioco che finirà per superare le differenze di razza e di religione. Il film ha vinto una gara di sceneggiature online promossa dalla Miramax, ed è stato prodotto da Matt Damon e Ben Affleck.

Analisi. Il film essendo un opera prima ha dei limiti ma il cast di tutto rispetto conferisce credibilità ai personaggi. Solo Pete sembra vivere in un altro mondo. Oltre al tema dell’amicizia e del superamento delle differenze religiose ( cristiani-ebrei) il film si sofferma sui pregiudizi che una certa educazione religiosa può creare e che unita all’orgoglio può avere effetti devastanti su una famiglia. Vedi il comportamento del padre nei confronti della borsa di studio per il figlio. Ecco alcuni temi su cui il film fa riflettere:

  1. Che immagine di Dio abbiamo? uno che ti manda all’inferno? (come dice la suora), uno che fa morire i bambini o uno compassionevole che attraverso le relazioni e la solidarietà tre le persone ci guida nelle avversità della vita? Bella la figura del parroco nel dialogo con Pete in chiesa quando Pete prende le particole da portare all’amico.

Interessante il dialogo anche se risente di quegli anni. L’eucarestia non dobbiamo meritarla superando prove o coi sacrifici, ma è per tutti coloro che credono nel Signore e hanno bisogno del suo aiuto. E’ il pane del cammino.

I rapporti tra genitori. La capacità di discutere senza mai perdere il rispetto l’uno per l’altro. Il discutere non davanti ai figli. La capacità di cambiare opinione, di rinunciare ai propri progetti per capire quelli dei figli.

In questa scena la madre è molto decisa e determinerà il cambiamento del marito nei confronti del figlio rendendolo consapevole dei veri motivi per cui si oppone alla borsa di studio.

Il dialogo interreligioso. Parolona per quello che nel film è semplicemente imparare a rispettarsi nel diverso modo di credere. Il rabbino è un uomo di fede che sa accogliere Pete con gentilezza e umorismo e vive il dolore per il figlio che è universale. Tante domande, poche risposte.

In questa scena il padre di Pete lo aiuta a riflettere sulla vera natura di Dio.

Dio è un padre che non lascia fuori nessuno

Concludo con la scena finale in cui Pete va dal rabbino. Teologicamente può sembrare discutibile ma se un bambinio mi desse una risposta così lo abbraccerei forte. La fede è ricerca, è avere più domande che risposte, è andare oltre gli schemi, è FIDARSI.

Il nome di Dio è Danny

4. Un ponte per Terabithia

Ecco un film per tutta la famiglia in modo particolare per i ragazzi e le ragazze perchè li aiuta a riflettere sulla vita e sulle risorse che ognuno di noi ha per reagire a situazioni difficili.

Jesse è un ragazzino che ha un amore per il disegno e la pittura. La famiglia e la scuola, però non gli danno credito e, spesso, è irriso da qualche bulletto di classe. L’improvvisa e magica amicizia con Leslie lo conduce in un mondo di fantasia, dove la creatività può essere liberata.
La Disney è da sempre stata maestra nel genere per famiglie, e questo viaggio nel fantastico, ha la particolarità di non essere contaminato da incantesimi potteriani ed esseri ultraterreni, ma si basa principalmente sulla capacità umana di immaginare. Il piccolo e classico scuolabus in cui si verificano gli scontri più accesi si confronta con gli spazi aperti del bosco, mettendo in parallelo acerbe ostilità e amicizia universale. È forse la semplicità di questa opera a essere vincente, perchè gli effetti speciali, sono presenti, ma con moderazione, per lasciar parlare l’umanità. Il regno di Terabithia è il prodotto della fantasia di due ragazzi, che immaginano tutto ciò che vedono.
Nell’evoluzione di questo genere cinematografico, c’è un aspetto da non sottovalutare. È come il film veicola un messaggio parlando ai giovani e agli adulti, innalzando la solita morale a qualcosa di più concreto, in una società in cui i confini fra adolescenza e maturità sono labili e quasi scompaiono per la velocità di crescita forzata dall’effetto dei media.
Di conseguenza, Un ponte per Terabithia non è un percorso verso uno scontato lieto fine, ma un cammino verso una luce, un’apertura che ha il sapore di un piccolo sogno.

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Il tema centrale é quello della fantasia messa in atto dai bambini e dagli adolescenti come difesa dalle difficoltà del quotidiano e quindi in funzione quasi terapeutica. Forse tale prospettiva non è nuova, ma certamente encomiabile e notevole é lo sforzo fatto dalla regia per sottrarsi ai rischi del prevedibile e infondere nuovo slancio alle immagini. La favola infatti si snoda leggera e delicata, affrontando vari aspetti (le difficoltà con i genitori il più facile, la religione e la ‘morte’ come assenza i più difficili) senza mai cadere nella pedanteria. Anzi restando aderente ad un realismo che non si nasconde problemi e incomprensioni ma che poi dà spazio all’invito a tenere la mente aperta, a lasciar correre l’immaginazione come potenza creatrice, a non fermarsi all’apparenza. Il punto forte é nella capacità di far capire che non bisogna arrendersi alla paura e che é possibile sperimentare strade nuove. Identificate anche in un uso non invasivo degli effetti speciali, proposti con misura e opportunità.

Dopo aver visto il film ecco alcune domande per riflettere personalmente e in famiglia:

1.Quanto è importante il giudizio degli altri? Ci lasciamo condizionare dalle critiche anche se sono stupide?

2.Nel film il bullismo e sopraffazione di alcuni sui loro compagni è molto presente, come è la situazione nella vostra scuola?

3.Un altro tema importante nel film è l’amicizia. Chi sono i vostri veri amici.

5. Basta guardare il cielo

Regia di Peter Chelsom. Un film con Sharon Stone, Kieran Culkin, James Gandolfini, Elden Henson, Harry Dean Stanton. Titolo originale: The Mighty. Genere DrammaticoUSA, 1998, durata 108 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: medie in sù.

Basta guardare il cielo è un’opera sul valore dell’amicizia nell’infanzia, nell’adolescenza, nella crescita. Kevin, senza padre, ha una madre affettuosa. Max ha un padre violento – in carcere per aver ucciso la madre del ragazzo – e vive con i nonni, figure genitoriali vicarie. Sia Kevin che Max trovano amore nelle famiglie in cui vivono, ma la famiglia non è sufficiente a creare le condizioni per la crescita. In famiglia, nei primi anni di vita, fino alla scolarizzazione, il bambino attraversa la fase della socializzazione primaria, in cui ha rapporti sociali limitati quasi esclusivamente ai familiari. Con l’età della scolarizzazione, il bambino entra nella socializzazione secondaria, si apre al mondo esterno, alla società. Il mondo della scuola e degli amici si sovrappone all’ambiente familiare e il singolo può costruirsi un’identità autonoma: qui sta l’importanza dell’amicizia nel percorso di crescita. Una delle spinte che conducono allo sviluppo dell’identità è data dalle delusioni che padri e madri infliggono ai figli: così si spiega la figura del padre di Max, che per il ragazzo è una delusione, un aspro scontro con il principio di realtà.

Inoltre, nella creazione della personalità, per l’individuo nasce il confronto tra ciò che gli somiglia e ciò che è diverso da lui. Tale confronto porta alla separazione dal simile e all’apertura all’altro, al diverso da sé, la stessa apertura che si verifica tra Kevin e Max, molto diversi tra loro. Kevin è la mente, Max è il corpo. Tra i due nasce una simbiosi, un sodalizio in cui l’uno è complementare all’altro. Kevin offre a Max l’intelligenza e la capacità di fantasticare; Max offre a Kevin la possibilità di muoversi e di vedere il mondo da un altro punto di vista. I due ragazzi instaurano tra loro un rapporto fatto di mutuo sostegno, utile a entrambi per superare le proprie paure e non sentirsi più soli. Il film è diviso in sette capitoli, come il libro che Max scrive per raccontare la storia della sua maturazione. Il film s’identifica in qualche modo con il libro che Max scrive: ciò accentua il rilievo della dimensione della letteratura come fonte di narrazione e fantasia.

(Francesco Rufo su mymovies.it)

Valutazione Pastorale

Alla base del film c’é il romanzo “Freak the Mighty”, il primo per giovani scritto dal famoso autore del mistero Roman Philbrick e pubblicato nel 1993. In quella occasione Philbrick dichiarò di essersi ispirato al figlio di un suo amico nato con la sindrome di Morquio, una malattia infantile progressiva e degenerativa. Il romanzo parla dell’importanza dell’immaginazione, della fantasia e, soprattutto, dell’amiciza nell’età adolescenziale e in situazioni di disagio come quelle dell’handicap. Tutto questo è presente anche nel film, che rispetta la pagina scritta, rafforzandone le intenzioni, grazie ad un racconto equilibrato, commosso e commovente. Alcune ingenuità e qualche momento un po’ sdolcinato non inficiano la sostanza di una storia molto delicata, dove viene sottolineata la solitudine delle persone che vivono queste tragiche situazioni, l’indifferenza degli altri, e dove trovano giusto spazio il dolore immenso e tuttavia trattenuto, la pietà per la fine di una giovane vita, il conforto dei valori presenti, il ricordo dell’amico e della lezione che ha lasciato. Film di grande spessore, dal punto di vista pastorale, per il tono poetico, sensibile e delicato con cui accosta argomenti difficili come l’handicap infantile. Da valutare come raccomandabile, e poetico. UTILIZZAZIONE: l’utilizzazione del film é consigliata sia in programmazione ordinaria sia per affrontare l’argomento ‘handicap’ nell’ottica del rapporto ‘famiglia-handicap’.

(Commissione nazionale valutazione film della Cei)