Articolo che racconta la visita del vescovo al nostro vicariato.

Visita Pastorale Vescovo Oscar al Vicariato di Gravedona 22 feb 2022
Carissimo padre Vescovo Oscar,
La accogliamo con gioia, oggi, nel nostro Vicariato, grati per la Sua presenza in mezzo a noi e per il Suo sostegno. La accogliamo in un Vicariato che sta continuando a scrivere la propria storia sotto la guida di un nuovo Vicario Foraneo (don Tiziano), da poco nominato, e recenti avvicendamenti nella guida di due delle cinque comunità Pastorali di cui si compone: don Francesco Marinoni nella Comunità Pastorale di Gravedona, arrivato con don Renzo Denti, e don Giuseppe Scherini nella Comunità Pastorale di Domaso e Vercana. Ugualmente recente è anche il rinnovo dei componenti del Consiglio Pastorale Vicariale e delle sue equipe. Sono, questi, segni della volontà del nostro Vicariato di riprendere il cammino dopo questo tempo di pandemia per tutti così impegnativo.
Questo è un tempo bello per ricominciare con un ritmo più costante, rispetto a ciò che abbiamo vissuto nei lunghi mesi dell’emergenza sanitaria, e per sentirci parte di una Chiesa in cammino, così come ci richiama il Sinodo diocesano che stiamo vivendo. Credo che più o meno tutti noi, qui questa sera, ci sentiamo inadeguati, non all’altezza; proprio per questo diventa fondamentale assumere uno stile sinodale, di dialogo, di collaborazione, di amicizia: anche per questo La ringraziamo per essere qui con noi. C’è avidità di futuro ma il futuro ha bisogno di memoria, della memoria della fede ed anche di ciò che ci è capitato e che ci fa dire: “Non siamo mai stati abbandonati!”. Abbiamo vissuto, e stiamo ancora vivendo, una situazione epidemiologica complessa e delicata che ha istillato paura. Una paura che è ancora il motivo scatenante di tanta inquietudine e sofferenza in alcune persone, comprese quelle che frequentano le nostre comunità. A questa paura vorremmo rispondere con un di più di cura evangelica, di prossimità, di ascolto paziente, imparando a ritrovare insieme la forza e la gioia di essere Chiesa oggi anche in un mondo che cambia.
“Più relazione, meno organizzazione” era il messaggio di un Convegno ecclesiale di qualche anno fa. La centralità delle relazioni è il nostro modo per custodire il Vangelo; nel nostro territorio, però, è minata da pluriappartenenze, mobilità sempre più consistente, dislocazione degli ambiti di vita per motivi di studio o professionali, con la conseguente uscita dalla comunità pastorale.
A questo proposito, sarebbe bene togliere un po’ di incombenze amministrative ai parroci perché possano avere più tempo per coltivare le relazioni nella propria comunità. La fraternità tra i presbiteri, preziosa per la dimensione della custodia, nella quale non implodere ma sostenersi reciprocamente, può essere segno e testimonianza di quelle relazioni che possiamo costruire; tuttavia, non è sempre così evidente.
Ci chiediamo: come “comunicare la fede” dentro i nostri riti e ambienti abitati da gente che però li frequenta di passaggio, in modo distratto e che, alla fine, ci appare come gente estranea in casa nostra? Quando nelle nostre parrocchie non resta che poca gente, non bisogna semplicemente considerare che le nostre Chiese mancano di preti, ma piuttosto mancano di cristiani. Oggi la sfida è generare nuovi credenti, è trasmettere la fede alle nuove generazioni; la comunità cristiana si presenta sì con una identità ben definita, ma mancano percorsi di avvicinamento, l’attenzione e la prossimità a chi è alla ricerca, a chi nella crisi si apre ad una sensibilità nuova per le cose dello spirito.
Tema decisivo è quello della generatività; il rischio delle nostre Comunità Pastorali è quello di restare prigioniere di due tendenze: quella di una stazione di servizio per l’amministrazione dei sacramenti, che continua a dare per scontata, in coloro che li richiedono, una fede invece spesso assente; e quella di concepirsi come una comunità piuttosto autoreferenziale, nella quale ci si accontenta di trovarsi bene insieme.
La generatività che stiamo cercando richiede, innanzi tutto, che le parrocchie abbandonino le tentazioni dell’autosufficienza per intensificare in primo luogo la collaborazione e l’integrazione con le parrocchie vicine, al fine di sviluppare insieme, in un medesimo ambito territoriale, quelle attenzioni e attività pastorali che superano di fatto le normali possibilità di una singola parrocchia. Bisogna che i parroci siano i primi a crederci; diversamente, rimane tutto solo sulla carta.
Siamo convinti che la famiglia è il luogo centrale della carità, è il cuore e la scuola delle relazioni d’amore; è il primo ammortizzatore sociale, è in sé “buona notizia” attraverso la quale può passare e vivere l’annuncio cristiano. A riguardo della pastorale famigliare, constatiamo tante difficoltà che rispecchiano l’attuale momento storico. In Vicariato, costanti e consolidati sono l’accompagnamento delle coppie di fidanzati in preparazione al matrimonio e le proposte di incontri formativi per i battesimi. Occorre accompagnare le coppie, giovani e meno giovani, a divenire sempre più consapevoli della reale presenza del Signore nelle tappe della loro storia e nella quotidianità del loro cammino. Su questo modo di impostare la pastorale familiare il Vicariato è chiamato a diventare luogo di confronto e di progettazione comune.
Poiché cristiani non si nasce ma si diventa, il tema della Iniziazione cristiana si inserisce naturalmente nelcammino delle nostre comunità pastorali. In questo ambito sono già state individuate le difficoltà ad attuare l’itinerario di Iniziazione cristiana: debolezza educativa della famiglia ed evanescenza della comunità. L’annuncio della fede è anche
accompagnato da un’evidente disaffezione alla Messa festiva domenicale, specialmente da parte delle famiglie giovani. Spesso le famiglie vivono situazioni di tensione a causa dei ritmi di vita, del lavoro che si fa incerto, della distanza tra casa e lavoro, della fatica di un compito educativo che si fa più arduo. I genitori si sentono disorientati, inadeguati, alle volte lontani essi stessi da una serena pratica religiosa. Annunciare il Vangelo alle giovani generazioni, quindi, esige primariamente la conversione degli adulti.
Alla radice del Vangelo della misericordia, l’incontro e l’accoglienza dell’altro si intrecciano con l’incontro e l’accoglienza di Dio: accogliere l’altro è accogliere Dio in persona; per questo, intendiamo custodire con cura e far cresce la “Casa della Carità”, nata proprio nella giornata mondiale dei poveri 2019, che da ora sarà anche il Centro di Ascolto Vicariale, oltre a proseguire l’aspetto dell’accoglienza nei propri spazi. Per questo, a breve, verrà attivato un percorso di formazione per i volontari del Centro di Ascolto, a cura dei responsabili della Caritas diocesana. Non manca l’attenzione al volto missionario delle nostre comunità; la nostra equipe vicariale sta lavorando per sensibilizzare e aiutare le nostre comunità pastorali ad integrare nelle varie attività e specificità, il dialogo e la collaborazione, sollecitando nuovi stili di vita per rendere più visibile la natura “missionaria” di tutta la Chiesa e in particolare nella nostra.
Una difficile prossimità è quella verso i giovani che faticano a frequentare le nostre parrocchie, attirati dalle offerte di una società che configura il giovane come il “buon consumatore”: di vestiti, di divertimenti, di emozioni… le forme di seduzione sono innumerevoli; il senso di comunità non è immediato e diffuso, sostituito dalla ricerca di una prossimità fisica con i coetanei, che spesso si rinchiude in piccolissimi gruppi. Mentre la catechesi dei bambini e dei ragazzi gode ovunque di una partecipazione pressoché plebiscitaria, in alcune comunità manca del tutto o quasi la catechesi per gli adolescenti e i giovani. E anche nelle comunità dove ci sono percorsi per loro la percentuale di presenze è solitamente molto bassa. Ci si chiede quali possano essere nuove strade per avvicinarli o per raggiungerli; non basta rinnovare metodologie e linguaggi. Il nostro Vicariato, in particolare, paga l’assenza di giovani educatori che, per motivi di studio o di lavoro sono costretti a lasciare la propria comunità per trasferirsi altrove, almeno durante la settimana. Testimonianza ne è anche il fatto che, al momento, non vi è presenza di laici all’interno dell’equipe vicariale di pastorale giovanile.
Anche per i nostri oratori, da sempre definiti “casa di tutti”, non è sufficiente avere “le porte aperte”; si tratta di costruire tutta una trama di rapporti di prossimità, di vicinato, di ospitalità da parte di una comunità che prende sul serio l’annuncio del Vangelo a tutti e l’amore del prossimo come una possibilità da vivere anzitutto con chi sta vicino. Il nostro essere aperti a tutti non significa che siamo una casa vuota: accoglienza non è un atteggiamento passivo, non è creare uno spazio vuoto, ma uno spazio per entrare in relazione; servono creatività e propositività; ascolto e restituzione in dialogo.
Caro don Oscar, tutto ci sembra più grande di noi ma vogliamo coltivare la speranza che il bene, spesso nascosto e silenzioso, sia prevalente sulle criticità. Vogliamo affrontare la situazione attuale, per certi aspetti faticosa, in una prospettiva di fede che ci consenta di vedere il Signore all’opera.
Chiediamo allo Spirito di illuminarci, per trovare vie nuove da percorrere, per discernere il bene possibile.
Rimane prioritaria l’esigenza di costruire relazioni autentiche, diventando donne e uomini capaci di carità, cioè capaci anzitutto di riceverla da Dio e poi di condividerla tra noi.