Meditazione del Pariarca dei latini di Gerusalemme Pierbattista Piazzaballa

Il Vangelo di oggi (Lc 1,26-38) ci dona di vedere come accade l’incontro tra Dio e il suo popolo. 

 L’incontro, per accadere, ha innanzitutto bisogno di un tempo e di uno spazio precisi: è il sesto mese (Lc 1,26) dall’annuncio della nascita di Giovanni, e siamo in una città della Galilea, Nazaret. In questa città, l’angelo Gabriele entra nella casa di una giovane donna (Lc 1,26-28). 

 Quel tempo, quel luogo, non erano diversi né migliori del tempo e del luogo dove siamo noi ora.  

Anche quello era un difficile tempo di conflitto e di sofferenza; e quel luogo era una qualsiasi cittadina, come le nostre, dove scorre la vita normale di ogni persona, con le sue gioie, le sue pene, le sue speranze. 

 Lì si incrocia il destino di Dio e dell’uomo. Non al di fuori del tempo e dello spazio, non in un tempo e in uno spazio ideali. Ma qui ed ora, per dire che l’incontro può accadere ovunque; per dire che l’incontro non dipende dalle condizioni esterne, ma dallo spazio e dal tempo che c’è dentro di noi. Se lo spazio e il tempo sono aperti, l’incontro avviene. 

 Maria è questo spazio. Uno spazio povero, perché la verginità (Lc 1,27) è innanzitutto una forma di povertà, di non potere, di accoglienza. 

Maria dà spazio e tempo al Signore, cioè ascolta; ascolta ciò che l’angelo ha da dirle. In un certo senso, le parole dell’angelo percorrono le strade della nostra umanità, dei nostri sentimenti più profondi. 

 Innanzitutto, la gioia: l’angelo non porta un annuncio di sventura, una minaccia di vendetta. Dio ha per l’uomo un desiderio di gioia, e questo è il suo primo messaggio: “Rallegrati!” (Lc 1,28).  La gioia ha un motivo preciso e sicuro: “Il Signore è con te” (Lc 1,28). È l’annuncio che ritorna ad ogni vocazione dell’Antico Testamento, è la cosa principale che Dio dice quando affida una missione a qualcuno: il Signore è con te, cioè non sarai solo a portare avanti questo disegno di salvezza, che si realizzerà tanto quanto tu accoglierai la mia vicinanza, la mia presenza. La gioia è sempre il segno di un’alleanza rinnovata, di una relazione ristabilita, di un incontro: non c’è gioia in una vita isolata nella solitudine. 

 Poi c’è un invito a non temere (Lc 1,30). L’invito, cioè, ad affidare ogni timore al Signore, a non lasciarsi prendere dalla paura, a non ascoltare la voce che in noi dice che nulla è più possibile. Anche Maria è turbata (Lc 1,29), e nel turbamento si chiede il significato di quello che sta succedendo. E chiedendoselo si apre ad un significato più grande. La paura può diventare il primo passo verso la fede. 

 Infine, il messaggio dell’angelo intercetta un desiderio profondo e vero dell’uomo, tutto ciò che in noi domanda vita, pienezza: Maria è la piena di grazia (Lc 1,28), e su di lei scende lo Spirito che la copre con la sua ombra (Lc 1,35). Il richiamo è all’Esodo (Es 40,34-35), dove si parla della nube che sosta sulla tenda dell’incontro e che assicura al popolo in cammino la presenza di Dio, che cammina insieme a lui. Perché una vita piena è possibile dove Dio cammina con noi, e noi con Lui. 

 Maria allora non è più solo una semplice ragazza di Nazaret: è la casa di Dio, la sua dimora.  

Attraverso il suo sì, Dio ha potuto compiere la sua promessa, quella che un giorno ha fatto a Davide, di costruire una casa dove abitare per sempre con l’uomo. 

 Tutto questo accade “solo” perché Maria ha ascoltato: e ascoltare significa affidarsi alla potenza della Parola, fidarsi, lasciarsi fare, credere. Quando questo accade, quando la Parola viene ascoltata, accolta, allora si fa carne, diventa la nostra carne, la nostra vita. In Maria, quest’accoglienza dello Spirito ha generato la carne di Gesù, ha permesso alla sua divinità di fare casa tra gli uomini.  

 Ma anche noi, quando ascoltiamo, generiamo Dio nella nostra vita, diventiamo la sua dimora. 

E questo toglie la paura, ridona motivi di gioia, è la nostra pienezza di vita. 

Non solo per noi stessi, ma per tutti coloro che vivono con noi. 

+Pierbattista