Quaranta Giorni dopo la Pasqua Gesù ritorna dal Padre e sale al cielo promettendo di mandare lo Spirito santo.

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Meditazione di Pierbattista Pizzaballa patriarca di Gerusalemme dei latini

 I brani di Vangelo che abbiamo ascoltato in questo tempo pasquale ci hanno ripetuto più volte che Gesù è venuto a portare la vita in abbondanza, a donare la pace vera, a lasciarci la sua gioia. 

Ma dove trovare tutto questo? Come si realizza questa promessa? 

Il brano di Vangelo di oggi (Mc 16,15-20) ci fa assistere ad un grande paradosso. 

Da una parte, l’episodio racconta il ritorno di Gesù al Padre: al v.19 leggiamo infatti che il “Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra del Padre”. 

Gesù ha compiuto la sua missione, quella per cui il Padre l’ha inviato nel mondo: ha dato la vita per i suoi amici, perché ognuno potesse tornare a sperare in una relazione di amore e di fiducia con il Dio della vita. 

Dall’altra assistiamo ad un intensificarsi radicale della presenza di Gesù in mezzo ai suoi: Egli, infatti, agisce insieme con loro e conferma la sua Parola con i prodigi operati dai discepoli (Mc 16,20). 

Non si tratta solo di un intensificarsi, ma anche di un allargamento totale di confini: per ben due volte si sottolinea l’universalità del messaggio cristiano, destinato a tutto il mondo e ad ogni creatura (Mc 16,15); e i discepoli, quando partono, predicano dappertutto(Mc 16,20). 

Il Signore parte, ma anche rimane. 

Parte, ma il suo partire non equivale al nostro rimanere senza di Lui. 

Anzi, proprio la sua ascesa al cielo è ciò che gli permette di abitare ovunque sulla terra.  

Come può accadere questo? 

Accade grazie ai suoi discepoli: il Signore torna al Padre, ma solo dopo aver dato loro il compito e la possibilità di portare ovunque il dono di Dio per l’uomo, per ogni uomo.  

Il Signore lascia la terra e i discepoli partono per portare ovunque la sua presenza. 

Questo è il grande mandato dei discepoli del Signore.  

Tre sono gli elementi che possiamo sottolineare. 

Il primo è che i discepoli sono chiamati ad amare il mondo, ad amare la terra, gli uomini, la vita. Sono chiamati ad avere per gli uomini una vera e propria passione, un desiderio grande che tutti siano salvati 

Proprio come Dio ha amato il mondo, così essi sono chiamati a fare altrettanto. 

La relazione con Dio non li chiude in uno spazio intimistico e privato, ma, al contrario, spalanca la loro vita all’altro. Li incarica dell’amore di Dio per ogni uomo. 

Non c’è discepolo del Signore che non sia segnato dall’amore per il mondo. 

La seconda sottolineatura riguarda i segni che accompagnano la missione dei discepoli nel mondo. Se facciamo attenzione, vediamo che sono tutti segni che parlano della vittoria sulla morte: il veleno non farà loro del male, i serpenti non saranno causa di morte, i demoni non avranno potere su di loro (Mc 16,17-18).  

La missione dei discepoli nel mondo consiste nel sottrarre potere alla morte, nello strappare alla morte la capacità di tenere prigionieri gli uomini. 

Lì dove la morte cerca di togliere la vita, spegnere la gioia, soffocare la pace, i discepoli hanno un antidoto potente, ovvero il loro amore per il mondo. 

Questa sarà la lingua nuova (Mc 16,17) che i discepoli sapranno parlare, che tutti potranno comprendere, quello dell’amore che vince la morte. 

Il terzo elemento è questo: da dove viene ai discepoli la forza per lottare contro la morte?  

Gesù lo chiarisce da subito, quando dice che questi segni accompagneranno coloro che credono (Mc 16,17); e solo nel suo nome potranno compiere tali gesti. La forza viene dalla fede, e solo dalla fede. 

Dunque non sarà una battaglia facile, perché la morte non abbandonerà facilmente il campo. Ma chi crede nel Signore farà esperienza che nemmeno Lui abbandona i suoi, e che anzi dona loro la sua stessa vittoria, la sua stessa vita, nuova ed eterna. 

Torniamo quindi alle domande iniziali: dove la Chiesa sperimenta la vita in abbondanza, la gioia, la pace del Risorto? 

Potremmo rispondere così: che la nostra gioia è piena quando il dono di Dio per la nostra vita non si ferma a noi, ma, attraverso di noi, raggiunge i nostri fratelli. 

Se tratteniamo per noi il dono di Dio, il dono finisce con noi e si perde. 

Ma se ci facciamo infiammare della passione di Dio per il mondo, allora noi per primi sperimentiamo nella nostra vita che la morte è vinta, perché il dono di Dio ci riempie solo se lo sappiamo condividere con tutti. 

+Pierbattista