31 dicembre 2021/ di: Marcello Neri da Settimananews.it

chiesa italiana

Settimananews.it ha pubblicato questo interessante articolo a tratti duro ma credo, vero sulla situazione della chiesa italiana. A Como se ne parla poco in quanto abbiamo in corso un sinodo diocesano e, a dire il vero, anche di questo se ne parla poco. Credo dia degli spunti su cui riflettere e confrontarsi. (Il grassetto è del sottoscritto)

Per la Chiesa italiana il cammino sinodale voluto fortemente per lei da papa Francesco rappresenta un’opportunità che è anche un punto di non ritorno. Mancare l’appuntamento vorrebbe dire spegnersi nell’inerzia che l’avvince da tempo – e sono molti i modi perché questo possa accadere. Soprattutto per una Chiesa che ha temporeggiato per tutto il pontificato di Francesco, aspettando semplicemente che passasse via. Dei molti spazi che ha aperto per noi sono rimasti quasi tutti vuoti, senza inventiva pastorale e senza convinzione ecclesiale.

L’inerzia sembra essere la caratteristica della Chiesa italiana nell’ultimo decennio. Spaesata nei confronti dei processi di trasformazione che non riguardano solo la società civile, ma anche le forme del credere contemporaneo. Processi che sono in atto da più di mezzo secolo, a dire il vero.

Rispetto alla mentalità media che gira nel cattolicesimo di casa nostra il mondo del vivere quotidiano è oramai tutt’altra cosa. Abbiamo passato decenni a cercare di produrre in laboratorio un cattolicesimo che non esisteva più nella realtà. Salvo poi sorprenderci per l’afasia tra le pratiche ecclesiali e quelle del vivere comune della gente.

Stante questo iato, non si tratta più di aggiornare la Chiesa italiana ma di reinventarla. Il Sinodo iniziato, anche se pochi se ne sono accorti nelle comunità cristiane del nostro paese, non può essere un mero adeguamento dialogico delle strutture della nostra Chiesa a un orizzonte comunitario del pensare e vivere la fede in Italia. Non lo può essere, perché il parametro dell’adeguamento produrrebbe la semplice continuazione di un cattolicesimo sostanzialmente clericale – sia dei preti che dei laici.

Nonostante l’affaticamento strutturale della Chiesa italiana, il cui specchio è la Conferenza episcopale e la sua inerzia che si rivela nell’andare al traino quando non è più possibile stare fermi, il cattolicesimo di casa nostra conosce ancora delle vivacità significative che rendono la fede contemporanea ai vissuti della gente.

Comunità, parrocchie, gruppi, associazioni, esperimenti, diffusi sul territorio del paese – che però non si conoscono vicendevolmente e non si frequentano reciprocamente. Per molte ragioni. Questo sparpagliamento insulare del meglio che il cattolicesimo italiano sa oggi offrire, potrebbe essere un buon punto di partenza per il Sinodo della nostra Chiesa.

Esso dovrebbe diventare l’occasione per connettere tra loro queste pratiche del credere nel contesto civile dell’Italia di oggi. Non abbiamo bisogno di grandi programmi che scendono dall’alto, ma di uno sforzo federativo che faccia da volano a quanto di buono si trova disperso sul territorio del nostro paese. Immaginando una leadership diffusa e variegata, ma non insulare e biografica. Cercandola ai margini delle forme istituzionali che abbiamo ricevuto dalla stagione conciliare.

Così che queste esperienze possano uscire dalla culla sicura in cui sono sorte e portano frutto. Metterle insieme significherebbe anche alleggerirle del senso di solitudine pioneristica che spesso le contraddistingue, permettendo una circolazione di pratiche della fede che potrebbero rimodularsi in maniera variegata a secondo dei contesti e delle situazioni locali.

Insomma, il Sinodo della Chiesa italiana dovrebbe essere l’occasione per uscire da un provincialismo che rischia di essere dispersivo per il cattolicesimo odierno. Vivere di orizzonti più ampi è ciò che potrebbe rilanciarlo, anche in condizione di minoranza civile e culturale.

L’associazionismo del XX secolo, soprattutto a cavallo delle due guerre, ebbe il merito di creare una dimensione europea, internazionale, del cattolicesimo – senza la quale, molto probabilmente, non avrebbe visto la luce il progetto politico europeo che ha condotto il nostro continente fuori da un’inimicizia belligerante secolare.

Questo afflato e questi più ampi orizzonti di allora sono una lezione dalla quale possiamo ancora apprendere, sulla quale vale la pena di investire risorse, persone, strutture, in un progetto a lungo termine. Chiunque sia il papa, perché il futuro della Chiesa, anche di quella italiana, non si gioca più tutto lì.