In questa 3° domenica di Pasqua incontriamo i discepoli di Emmaus che rientrati a Gerusalemme arccontano quanto gli è capitato. In quel momento Gesù appare loro e dona loro la Pace.

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Meditazione di Pierbattista Pizzaballa Patriarca di gerusalemme de latini

Il brano di Vangelo di questa terza Domenica di Pasqua (Lc 24,35-48) può essere riletto in filigrana con quello di Domenica scorsa (Gv 20,19-31): mentre i discepoli sono riuniti in casa, il Signore risorto si fa presente, dona la sua pace, mostra le sue ferite, invita a non temere, suscita una grande gioia.

La Chiesa ci fa sostare nel Cenacolo, dunque, perché sa quanto è importante per la nostra vita di fede imparare a riconoscere il Signore, ad accogliere i segni della sua presenza pasquale.

Innanzitutto vorremmo sottolineare ciò che Gesù, risorto dalla morte, non dice.

Il Risorto non rassicura i suoi che andrà tutto bene, che non avranno problemi; non dice che è finito il tempo della sofferenza e che d’ora in poi, finalmente, tutto sarà facile.

Il Signore non illude, così come non aveva mai illuso nessuno durante gli anni della sua vita terrena: ai suoi discepoli aveva proposto un cammino esigente, che passava anche per loro, come per Lui, attraverso la croce di una vita donata.

Il Signore non illude, perché la sua risurrezione non impone nel mondo una nuova era, un nuovo modo di vivere, ma semplicemente la offre, la propone.

E la propone a chi crede che la Pasqua è davvero un cammino di vita, a chi crede che è vero ed eterno solo ciò che muore nel dono di sé e rimane vivo nell’amore e nella relazione.

Per questo abbiamo detto, domenica scorsa, che la pace e la gioia sono doni pasquali: nascono solo dalla Pasqua, e possono essere accolti solo da chi cammina dietro al Signore e attraversa con Lui la morte per entrare nella vita nuova.

Il brano di oggi, inoltre, sottolinea tre aspetti di questo cammino di fede e di conversione.

Il primo lo vediamo nel fatto che il Signore, per “convincere” i suoi di non essere un fantasma, mangia e beve quello che gli offrono (Lc 24,42-43).

E questo per dire che il Risorto non è un’immagine, un’idea, un pensiero: è una presenza, è qualcuno che condivide con noi la vita, sempre.

Alla sua Chiesa Gesù promette la sua presenza fedele, dentro la storia: una storia che non sarà meno drammatica della sua, ma che potrà contare su di Lui e sui suoi doni pasquali, sullo Spirito che Egli donerà loro in pienezza nel giorno di Pentecoste.

Il secondo, proprio dell’evangelista Luca, sta tutto in queste parole: “…aprì loro la mente per comprendere le scritture” (Lc 24,45).

Dopo aver mangiato, Gesù si ferma con loro e riflette sulla storia della salvezza, così come è narrata dalle Scritture. E fa questa operazione, che è propria del Signore crocifisso e risorto: apre.

Gesù è morto aprendo: alla sua morte si squarcia il velo del tempio, il centurione si apre alla fede, i sepolcri si aprono…

E Gesù risorto continua ad aprire: apre il sepolcro, apre la mente alla comprensione delle Scritture. Proprio come fa il buon pastore, che vedremo domenica prossima, apre il recinto dove il gregge è rinchiuso senza speranza di uscire.

Il Risorto apre le menti, cioè fa loro vedere ciò che veramente è la vita, ovvero una continua Pasqua. E fa vedere che questo è scritto da sempre, perché da sempre è inscritto nella profondità della vita e della storia di Dio con l’uomo.

Il terzo passaggio è che, se è vero che il recinto ora è aperto, la Chiesa è chiamata a partire.

Partire da dove e per dove?

Partire da lì, dall’esperienza dell’incontro con il Risorto, per andare ovunque con la mente aperta dalla Scritture ed essere testimone della logica di Dio, che è sempre logica pasquale, presente nelle Scritture da sempre e ora compiuta, rivelata pienamente in Gesù. La Chiesa non può annunciare altro che questo, perché solo di questo è stata testimone.

È stata testimone, in modo particolare, che Dio perdona, e che il Risorto lo si può trovare proprio lì, dove ci si apre alla sua misericordia che guarisce e che salva.

Nel momento in cui la Chiesa annunciasse altro, in cui sposasse altre logiche, smetterebbe di essere la Chiesa del Signore crocifisso e risorto, non sarebbe più fedele a Lui, e neanche a sé stessa.

Per questo il tempo pasquale ci dona di rimanere nel Cenacolo, perché anche le nostre menti possano aprirsi alle Scritture ed impariamo ad essere la chiesa che fa spazio al Risorto, che cammina con Lui, che lo testimonia fedelmente, a partire da Gerusalemme.

+Pierbattista

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